Alpinismo e turismo

Al Monte Bianco di solito associamo un numero, quello della sua quota: 4810 m (in realtà 4792 più la variabile calotta di ghiaccio). Non solo è la vetta più alta delle Alpi, ma qui, tra troppe nefandezze, nel diciottesimo secolo è nato l’alpinismo.

C’è un altro numero, di cui si parla pochissimo: 20.000 (una stima al ribasso)
Sono le persone che ogni anno si impegnano nell’ascensione alla vetta del Monte Bianco.
Nel periodo estivo questo si traduce in oltre 300 persone al giorno. Il comune di Chamonix ha addirittura messo un numero chiuso sulla più frequentata via normale francese (214 al giorno).

D’altronde la via normale francese non ha alcuna difficoltà alpinistica e facilmente si risolve con una lunga camminata su ghiacciaio su traccia ben battuta. Anche il suo valore storico è poco rilevante: la prima salita è stata fatta da un altro versante della montagna, con materiale e senso dell’orientamento che fanno sembrare la salita con mezzi moderni poco più eroica di una domenica mattina al centro commerciale. C’è chi parla di aria rarefatta, ma in altre parti del mondo a questa quota ci sono interi villaggi: basta un po’ di acclimatamento, raramente concesso dalle frenetiche vite europee di pianura.

Le foto ed i reels su instagram non mostrano mai l’affollamento, la spazzatura sul percorso, l’odore di cacca in lenta decomposizione sul ghiacciaio, i litigi tra le varie cordate, i droni con l’auto-follow, il russare di centinaia di persone in camerata nel rifugio… Ci viene semplicemente sbattuta in faccia l’ennesima impresa al servizio dei social, che tra l’altro viene rivenduta a caro prezzo (oltre 1600 €) da chi qui accompagna per lavoro.
Una perfetta macchina della spettacolarizzazione, che rende il raggiungimento della vetta un grandioso prodotto da vendere e consumare.

Chi mi segue da molto tempo, sa quanto io sia affezionato al Monte Bianco: è certamente la mia montagna del cuore, il mio primo ricordo è alle sue pendici e da tutta la vita per diversi mesi all’anno sono nelle sue valli. Qui ho imparato ad arrampicare, a muovermi su neve, a sciare e poi a fare alpinismo, con alcune salite classiche che mi rimangono nel cuore.

Consapevole delle contraddizioni della salita alla vetta, per molto tempo sono stato combattuto se mettermi anche io in fila all’alba su quella bianca calotta sommitale. Per fortuna ho resistito, anche nei più ruspanti ed adolescenziali momenti del mio rapporto con la montagna. Ogni tanto penso che potrei arrivare in vetta alla mia montagna preferita da una delle sue vie meno frequentate e con difficoltà tecniche, ma non sono sicuro di volerlo fare per davvero. Alla fine il Monte Bianco è uno dei grandi riferimenti del mio paesaggio, esteriore ma soprattutto interiore. Arrivare sulla sua vetta vorrebbe dire perdere un punto di riferimento della mia linea dell’orizzonte. Ma sinceramente questi sono cavoli miei, e le mie scelte personali non sono l’oggetto di questo post.

Quello che vorrei passasse è che la spettacolarizzazione a cui siamo sottoposti ci porta a fare tutti le stesse cose, e pure nello stesso momento. Sembra che se non facciamo una delle cose messe a disposizione dal ventaglio delle scelte del grande algoritmo, allora la nostra vita non ha valore, non siamo veramente vivi o comunque tremendamente noiosi.

Beh, non è così. E per scoprirlo basta aprire una cartina, magari di quelle ancora in carta, e scegliere il proprio itinerario, basandolo sui paesaggi che immaginiamo di poter vedere piuttosto che su quelli visti in quel reel che vorremmo copiare.

Nella foto: 19 alpinisti in fila dopo il Col de la Brenva, in salita verso la vetta del Monte Bianco, h 6:34 del 9 Luglio 2023. Scattata a circa 20 km con un 800 mm da una montagna dal lato Italiano.

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