La notte è un momento prezioso: il nostro senso principale, la vista, viene attenuato, lasciando spazio a tutto il resto. Le temperature si abbassano, i suoni antropici vengono sostituiti dal silenzio della notte, fatto da una miriade di piccoli rumori che non riconosciamo più.
Adoro trovarmi di notte in natura. Ho iniziato da adolescente, d’Inverno, con le giornate corte. Quando tornavo dai pomeriggi di scuola e al posto che fare quella cosa assurda che sono i compiti a casa mi mettevo le scarpe da corsa, la frontale in testa e andavo a correre nei boschi. All’inizio avevo una paura assurda, con la costante sensazione di avere qualcosa alle spalle nella nebbia autunnale. Allora spegnevo la frontale facendo silenzio, il mio sguardo si acuiva e iniziavo a percepire il bosco intorno a me. Piano piano ne ho avuto sempre meno paura, sostituendola con un senso di attenzione animale che era semplicemente sopito in me.
Poi sono iniziati i grandi trekking, spesso da solo. Ho bivaccato in luoghi improbabili. Una volta nel sagrato di una chiesa in Valle Anzasca sono stato svegliato da un capriolo che è venuto ad annusarmi nel sacco a pelo. Un’altra volta uno stambecco, in una notte particolarmente fredda a 2600 metri, mi ha estratto lo zaino dall’abside, rompendolo per raggiungere le noccioline nella tasca interna.
In alta montagna invece ci si abitua al silenzio assoluto, rotto dagli aliti di vento, dal pigro scricchiolare dei ghiacciai e dalle scariche di sassi, una preoccupazione più per il giorno successivo quando magari lì sotto ci devi passare. Le mie notti migliori sono state in natura, alternando momenti di contemplazione totalizzante a dormite profondissime, come non se ne fanno nel letto di casa. E poi le albe: essere svegliati dal calore del primissimo sole sulla pelle, magari dopo una notte fredda, è una riconnessione primordiale alla vita. [continua nei commenti]
Le uniche preoccupazioni ora vanno ai temporali notturni, ma il pericolo oggettivamente è minimo, mi rendo conto che anche questa è un’eredità della mia educazione, che sto smontando piano piano con dolcezza, senza forzare nulla.
Eppure parlando con le persone, spesso mi viene chiesto se non ho paura di trovarmi di notte, magari da solo, in questi luoghi. Le ragioni sono le più varie, dagli alieni che ti prelevano dalla vetta delle montagne ai branchi di lupi che ti sbranano a metà notte (pensate che il pericolo più concreto è il primo…). Ascoltando, mi rendo conto che la spettacolarizzazione e l’ignoranza hanno lavorato fianco a fianco per spaventarci, togliendoci quella connessione con l’ambiente che è fonte inesauribile di potere personale.
Mi sono anche reso conto che le stesse persone spaventate dalla notte in un bosco (me compreso, prima di sperimentare), passeggiano tranquillamente per le vie di una città in piena notte, sentendosi confortate dall’illuminazione pubblica. Non penso serva essere terrorizzati nemmeno qui, ma i pericoli sono molto più oggettivi e reali in città che in natura, dal balordo che ti rapina all’ubriaco che ti investe.
Il risultato è che sempre più ci sentiamo al sicuro tra quattro mura. Queste sicuramente ci offrono protezione e delimitano un confine in un nostro momento domestico, intimo e personale. E poi qui non dobbiamo temere i rigori dell’inverno. Però non voglio essere cieco che così perdiamo contatto con il mondo in cui ci siamo evoluti come specie, e di fatto dimentichiamo una parte di noi.
L’invito che vi (e mi) faccio è nel concederci alla natura anche durante la notte: che sia una passeggiata serale fino all’oscurità, che sia una notte in bivacco o comunque qualsiasi attività che ci riporti in contatto con le ombre delle cose e con l’infinità di stelle nel cielo.