La grande promessa

La proposta è allettante: promuovere la propria attività sui social, e vivere della propria passione. Questa è la grande promessa del nostro tempo, e sembra essere un momento ricco di persone che ce l’hanno fatta. C’è una K di fianco al numero dei loro followers. I loro sorrisi dall’entusiasmo straripante sono l’affrancamento da ogni dubbio. Visi mostrati compulsivamente, visi che trasmettono fiducia. Il reel è il nuovo vangelo, in cui i valori e le visioni che muovono la nostra vita sono condensati in poche immagini #mozzafiato accompagnate da musiche ispiranti. L’estetica più performante è quella grossolana, fatta per colpire un utente distratto che altrimenti passerà oltre in meno di due secondi. Il tempo dei messaggi sottili e delle estetiche eleganti sembra tramontato.

Non so se é mai esistito un momento in cui non è stato necessario pubblicizzare la bontà del lavoro che si offre affinché questo possa avere un sufficiente successo da garantire il proprio sostentamento. Probabilmente è sempre stato così, in forme diverse: dalle prime città con artigiani specializzati dell’età del bronzo passando per le corti dei sovrani medievali. Promuoversi è sempre stato necessario, almeno sotto qualche forma.
Ma un passato ricorrente non è un motivo sufficiente per rinunciare a cambiare il presente che sempre rappresenta un’occasione, in ogni singolo istante in cui siamo vivi e quindi capaci di agire nella realtà che ci avvolge.

Penso di essere un bravissimo fotografo di paesaggio, ho fatto mostre esposte in luoghi prestigiosi, le mie foto sono state pubblicate su riviste italiane ed estere, vendute da gallerie d’arte a migliaia di Euro: la mia arte può piacere o non piacere, ma il suo valore (anche economico) non è in discussione. Adduco questa mia capacità ad un preciso mix di talento e di studio. Lo studio ha forgiato ed allenato un occhio istintivo che era già dentro di me, e talvolta mi sorprendo a rianalizzare tecnicamente delle foto che ho scattato, ritrovandone geometrie perfette ritratte in maniera inconscia. La capacità di vedere certe linee e luci senza doverle razionalizzare è una dote rara che va affinata attraverso anni di pratica.
Allo stesso tempo penso di essere una bravissima guida escursionistica, negli ultimi anni ho accompagnato circa 150 persone in ambiente, attraversando paesaggi diversi, con approcci sentiti profondamente e conseguenza di un lungo affinamento col paesaggio e le modalità di esplorarlo. Ho condiviso la mia capacità fotografica in diversi workshop. Ho ideato trekking che portassero i partecipanti al loro limite fisico e psicologico. Ho anche iniziato ad accompagnare nel paesaggio con un ritmo più lento ed attento ai dettagli, parte del grande tutto che ogni volta attraversiamo. Nei miei gruppi ho assistito a potentissimi sblocchi emotivi, a momenti di estasi, a danze con le proprie ombre che chiamavano dagli abissi sul cui filo invitavo a camminare con coscienza. Ho visto persone cambiare nei mesi, negli anni, tornando di volta in volta con gli strumenti che ho aiutato a trovare dentro di loro sempre più padroneggiati. Come per il mio lavoro da fotografo, ottenere la qualifica di guida è stato solo un pixel di un’immagine molto più grande, fatto di anni di esplorazione nelle terre selvagge, nelle catene montuose di 6 continenti, uno studio naturalistico che non è mai finito e un amore profondissimo per le Alpi Centro-Occidentali, a cui sono legato fin da bambino e in cui ho deciso di tornare a vivere per coltivarle non come un altrove ma nel mio quotidiano.

In sintesi, la totalità è la chiave di ciò che ho scelto di condividere con gli altri.
Aggiungo che in passato ho messo della totalità anche nel promuovere il mio lavoro sui social, ma ad un certo punto ho notato che la promozione di me stesso stava diventando il mio lavoro, il mio ego era stato adescato dalla gratificazione dell’algoritmo nella grande illusione che il suo potere fosse il mio. Accumulare decine di migliaia di followers, ottenere like e commenti ai miei contenuti, era diventata la principale ragione delle mie arti.

La profondità del mio percorso è difficilmente comunicabile, e sinceramente penso di non essere un caso isolato. Il mondo è pieno di persone appassionate che hanno deciso di perseguire con totalità i propri talenti, scegliendo ad un certo punto di condividere con altre ed altri le loro conoscenze ed intuizioni.

Il punto che voglio portare oggi riguarda proprio questo:
nella bolla dei social, non viene tanto premiata la bravura in ciò che si è scelto di fare, ma la discriminante diventa quanto si è capaci e disposti a promuoversi costantemente.*
Non conta quanto io sia una brava guida in ambiente, in realtà non conta affatto come io sia effettivamente in ambiente, conta quanto sono bravo a comunicarlo.
L’arte fotografica stessa è stata prima sedotta dai social, che promettevano una visibilità senza precedenti. Una volta che ci siamo affidati ad essi, questi hanno iniziato a manipolare la nostra arte. Oggi scatto molto più in verticale che in passato e assisto all’inesorabile transizione di colleghe e colleghi dall’essere fotografi a “content creators”, prevalentemente video, prevalentemente corti, prevalentemente di rapido impatto, creando un contenuto che possa sfamare quella bulimia di interessi/bisogni che viene indotta ogni giorno dalle piattaforme che utilizziamo.
*Per promuoversi, intendo promuovere più la propria immagine pubblica (condividendo anche l’intimità) piuttosto che il proprio lavoro.

Essere un fotografo di successo su un social teoricamente fotografico come Instagram oggi vuol dire essere bravi a promuovere sé stessi sul social utilizzando la leva della propria fotografia: questa viene quindi creata ad hoc, nei formati e negli stili che meglio funzionano in questo particolare ecosistema.
Essere una guida escursionistica di successo oggi significa essere bravi a promuoversi sui social, essere bravi ad attirare nuovi clienti ed essere bravi a gestire (sempre via social) la propria community, fidelizzandola, ricordando loro continuamente ciò che possono fare con noi guide e il valore aggiunto che portiamo.

Per me accompagnare in ambiente è un atto sacro, ed è così per le scelte che ho fatto: il patto del non-racconto, i gruppi piccoli, gli ambienti selvaggi da attraversare senza lasciare traccia. Le persone con me vivono momenti catartici (e lo dicono loro). Nonostante questo, ho notato che addirittura alcune persone che camminano con me da anni vanno lentamente in dissolvenza nel momento in cui mi faccio vedere meno sui social. Probabilmente la mole di informazioni e di stimoli che riceviamo nel mondo contemporaneo rende dimenticabile qualsiasi legame e qualsiasi esperienza che non viene continuamente richiamata attraverso questi piccoli schermi di circa 6 pollici che tutti teniamo tra le mani. E forse siamo tutti troppo impegnati a promuovere in qualche forma noi stessi da tralasciare di accogliere l’altro, anche nei nostri ricordi. D’altronde è proprio sul binomio narcisismo-dopamina che i social hanno fondato il loro successo, ed è una dolce e calda colla da cui è difficile ripulirsi.

Negli ultimi mesi questi meccanismi hanno iniziato a scricchiolare dentro di me. Già nel 2023 ero molto stanco di dover continuare a promuovere ciò che faccio, soprattutto ero stanchissimo di dover particellare la comunicazione del mio lavoro, in un quotidiano di piccole pillole (stories, post, teoricamente anche reels, messaggi sui gruppi whatsapp…). Ho iniziato a rifiutare di avere una relazione quotidiana con i social, disidentificando il mio essere dal mio profilo.
Verso la fine dell’anno scorso mi è stato proposto di scrivere un libro, un grandissimo dono giunto con un tempismo perfetto. Ho finalmente avuto l’occasione di mettere in un unico contenitore tutto quello che ho maturato in questi anni in relazione all’ambiente naturale. Inizialmente sentivo ancora la necessità di una gratificazione immediata, abituato com’ero a condividere i miei pensieri sulla montagna attraverso i social e a ricevere un feedback immediatamente dopo la scrittura. Piano piano questa è svanita, lasciando spazio al guardarmi dentro, sempre più in profondità, con me stesso come unico testimone. Ora la scrittura del libro è finita, ma la condivisione di ciò che c’è lì dentro non avverrà prima della prossima primavera. Uno scarto temporale immenso, a cui riabituarsi è un’esperienza che tocca corde profonde e che permette di riappropriarmi di uno spazio apparentemente vuoto ma estremamente fertile.

Per lavorare al meglio il libro, nel 2024 ho deciso di limitare le mie proposte escursionistiche e ho avuto meno energia da dedicare alla promozione di quelle che ho scelto di portare avanti. Ormai forte di anni di lavoro e una base di clientela molto ampia, mi aspettavo che questa scelta non avrebbe avuto conseguenze drastiche su quanto le mie proposte fossero scelte dalle persone. Invece ho assistito allo spopolamento delle escursioni rimaste, nonostante queste fossero quelle più richieste gli anni precedenti e quelle che io ho sempre sentito di più. Addirittura è stato difficile mettere insieme il gruppo per l’Hidden Wilderness Ring, un’esperienza, a dire dei partecipanti degli ultimi 4 anni, unica nelle Alpi e che ha cambiato la vita a più di una persona che vi ha preso parte.

Non ho la sfera di cristallo e nemmeno nei momenti in cui la visione è più nitida riesco a vederne tutte le sfaccettature, tuttavia penso che il motivo alla base di questo calo di adesioni sia il fatto che mi promuovo meno sui social. Il lavoro passato, non è un motivo sufficiente per garantire la continuità del lavoro nel presente e potenzialmente rende il futuro un fallimento spaventoso. Oggi siamo tutti presi d’assalto da mille proposte, promozioni, notifiche, occasioni, offerte che è necessario un lavoro di promozione enorme ed estremamente specifico per emergere da questo oceano in tempesta. Come non conta lo storico, non contano nemmeno così tanto le capacità nella propria arte. Ciò che conta è la capacità di promuoversi, costantemente.

Formarsi, affinarsi, approfondire le tematiche su cui si lavora, sono tutti processi estremamente lunghi e che richiedono energie. Allo stesso modo la costruzione delle proposte escursionistiche e la realizzazione degli scatti fotografici è un lavoro di grande cura ed energia. Tuttavia, lo sforzo che ha un ritorno più quantitativamente rilevante sembra essere quello messo nella promozione di sé stessi. Il comunicare continuamente, quasi ossessivamente, i motivi per cui sceglierci, spesso non tanto legati alle proprie capacità o risonanze profonde, ma più trasmettendo delle “vibes” che risuonino almeno per un attimo con la propria platea. Inoltre l’empatia ci spinge a rispondere più facilmente a messaggi dati in prima persona, e questo l’algoritmo lo sa bene: è solo mettendoci la faccia che si massimizza il risultato, e ovviamente la faccia deve rispondere a dei requisiti come la piacevolezza (trucco&filtri) e la trasmissione dell’entusiasmo (sorrisi sempre e comunque).

In questo momento non ho una soluzione collettiva e anche sul piano individuale non posso che far valere il mio diritto di continuare a fare ciò che mi piace indipendentemente che questo mi sostenga economicamente o no. Una posizione che mi permette di guardare i meccanismi innervati nella nostra società senza esserne completamente avvolto. Non ho nemmeno l’aspettativa che ci sia un grande cambiamento nell’uso che facciamo dei social: chi governa queste piattaforme ha dei fini ben specifici e la maggior parte di noi sarà sempre disposta a seguire questo disegno in cambio di qualche briciola divorata in buona fede e con somma gratitudine.

La mia speranza è che nella vastità della rete ci sia ancora qualche persona capace di riappropriarsi delle proprie scelte, senza sottostare ai capricci dell’algoritmo. Questi esseri umani sono rari, e fortunatamente alcuni di loro hanno già deciso di condividere con me parte del cammino.

Proprio per questi motivi, in questo momento ho deciso di non creare ulteriori proposte escursionistiche di gruppo: per rendere loro giustizia dovrebbero essere continuamente promosse, meglio se mostrando la mia faccia in qualche reel con delle buone vibes e un sorrisone, qualcosa con cui adesso non sono disposto a scendere a patti.
Per i mesi a venire rimarrà attiva la possibilità di fare con me delle uscite private: vivere insieme una o più giornate in cui mi metto al servizio di chi ha fiducia nei miei modi di esplorare l’ambiente, dalla fotografia al trekking, passando per le infinite sfumature di pratiche di affinamento della propria sensibilità e di approfondimento naturalistico di cui ho fatto bagaglio.
Tuttavia non renderò questa esperienza l’ennesimo prodotto facilmente reperibile sullo scaffale rappresentato dallo schermo dei nostri smartphone, non la promuoverò continuamente sui social. Se qualcuna o qualcuno vorrà scegliermi, sarà appunto una scelta, un movimento la cui origine e responsabilità lascio a chi vorrà contattarmi.

Mi abbandono alla speranza che esistano altre persone capaci di intercettare questa chiamata, creando una rete di simili, in definitiva assurgendo alla ragione principale per cui condivido le mie competenze: quella di sentirmi meno solo, risuonando con persone affini.

L’anno prossimo uscirà il mio libro, che meriterà la mia energia nella promozione, ma sono grato che il suo contenuto sia ormai scritto e quindi slegato da ogni forma di preferenza algoritmica. Chi sceglierà di leggerlo, non avrà passaggi in evidenza sulla base dei propri interessi o del numero di like che questi hanno ricevuto. Quel fiume di pagine sarà tutto sullo stesso piano, e rappresenterà un percorso di scrittura durato mesi, frutto di un percorso durato una vita intera. Quanti lo leggeranno, sarà solo un dato quantitativo, secondario, rispetto alla qualità della risonanza che ogni lettrice e lettore sentirà dentro di sé. La chiamata sarà profonda e la risposta, per chi si prenderà il tempo di leggere, totale.

Sto anche pensando a come continuare a condividere la mia fotografia: ogni volta che taglio un’immagine in formato verticale faccio un torto alla mia visione. E mi fa orrore l’idea che la mia arte sia veicolata attraverso degli schermi di pochi centimetri ricchi di elementi di distrazione, aiutando la missione della tecnologia neoliberale di assorbire ogni anfratto della nostra vita, partendo dai momenti di noia e da questi espandendosi ad ogni singolo istante del quotidiano. Tutto questo non mi sta più bene, è un circolo a cui non voglio prendere parte. Esistono altri metodi per condividere la mia fotografia, sicuramente il libro sarà un tassello importante, così come l’eventuale mostra che deciderò di produrre insieme, ma è in ciò che ancora non conosco che ripongo la mia più grande speranza.

Scelgo di restituire al futuro il suo ruolo originale di invisibile possibilità piuttosto che di terrificante ignoto.

In apertura, una delle foto che più mi piacciono degli ultimi mesi. Una foto che merita uno spazio diverso rispetto alla condivisione sui social, sia per le dimensioni necessarie a goderne sia per l’attenzione che esige per essere veramente vista. Una tra tante sue sorelle, che in questo momento scelgo di non condividere in attesa di uno spazio che renda loro giustizia.

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