Quest’anno in Valle d’Aosta è stato deliberato un punteggio di merito* per le cacciatrici e cacciatori che abbattono le volpi. L’abbattimento va certificato portando le orecchie dell’animale come prova. Si riceve il punteggio di merito fino a due volpi, ma se la cacciatrice o il cacciatore vuole abbatterne di più, è libera di farlo. Una decisione problematica, che nasconde dei problemi culturali ed educativi.
Il motivo principale di questa scelta è che la popolazione percepisce troppe volpi sul territorio (“le vedo tutte le sere, sono troppe!” “trasmettono la rabbia!”), e la risposta da parte della politica è stato favorire l’abbattimento di questi animali. Questa scelta, nel modo che è stata fatta, soddisfa la pancia delle persone senza risolvere il problema, anzi, peggiorandolo.
La caccia, se ben fatta, può avere un suo ruolo ecologico, come ad esempio rinforzare la specie o andare a rimuovere gli individui con comportamenti dannosi influenzando la cultura degli animali in una determinata area. Ma per arrivare a questi scopi, deve essere indirizzata con grande competenza e svolta a regola d’arte.
Il numero di volpi non è particolarmente cresciuto negli ultimi anni, ma attraversando i paesi, soprattutto di sera, è molto comune vederne, più che in passato. Questo succede perché sempre più persone nutrono questi animali selvatici, con gli avanzi della cena o col cibo per i cani. Sono mosse da buone intenzioni, ma non tengono conto che gli animali selvatici vivono in natura senza il supporto dell’uomo: una volpe sana è perfettamente in grado di cavarsela da sola. Lo stesso discorso vale per la spazzatura, che va gestita con attenzione per evitare che gli animali selvatici la vedano come una fonte di cibo.
Quelle che fanno più fatica sono le volpi malate o deboli, che vincono l’atavica paura per l’essere umano pur di sopravvivere in qualche modo. Ecco che così al piattino verrà probabilmente una volpe con la rabbia, mentre quella sana continuerà la sua vita lontano dagli abitati.
Vicino agli abitati non si può sparare, per cui le cacciatrici ed i cacciatori non potranno fare un lavoro di selezione sui capi, spareranno più ad esemplari sani e con delle abitudini selvatiche piuttosto che ad esemplari malati e confidenti. Questo porta ad un deterioramento della specie su tutto il territorio.
La soluzione alle troppe volpi negli abitati non è quella di sparare, ma di educare le persone a rispettare gli animali selvatici e gli equilibri naturali, senza interferire. Se smettessimo di nutrire gli animali selvatici perché “sono carini” o perché “poverini”, la natura potrebbe tornare a fare il suo corso, migliorerebbe la salute delle volpi, la loro popolazione diminuirebbe e gli esemplari malati lascerebbero il posto a quelli sani. La cultura della specie cambierebbe, diminuendo la confidenza con l’uomo. È vero, le volpi malate morirebbero, ma è esattamente così che funziona in natura: l’accanimento verso l’immortalità è un disagio delle nostre menti razionali che rifiutano la morte.
Siamo una civiltà che non ha pazienza e non responsabilizza i cittadini: è molto più semplice sparare per raccogliere facili consensi manipolando la popolazione lasciata ignorante.
La volpe nella foto è una vecchia amica, da anni la incontro nelle camminate fuori stagione. Io e la mia compagna siamo gli unici esseri umani che vivono nel raggio di qualche km. Ogni tanto è venuta a curiosare intorno alla nostra baita ma l’abbiamo sempre (dolcemente) spaventata per farla allontanare. Sono mesi che la vedo solo nelle fototrappole più lontane da casa, e va bene così.
Mi auguro di cuore che sopravviva a questa politica delirante.
L’articolo nasce da una lunga chiacchierata con Francesco Guffanti, autore insieme ad André Roveyaz del libro fotografico Nuovi Equilibri (@nuovi.equlibri) , che documenta il ritorno del lupo in Valdigne (Alta Valle d’Aosta).
PS: si potrebbe fare un discorso molto simile a questo anche sul lupo, per cui il dibattito spesso viene ridotto ad un “abbattiamoli-non abbattiamoli”. Anche qui, il lavoro più importante è educare le persone a come comportarsi in territori abitati da questo animale ed educare/aiutare gli allevatori nella gestione del bestiame. Il lupo è tornato sull’arco alpino, le alpi sono molto diverse rispetto a quando era stato eradicato, e nemmeno con una caccia spietata sarebbe possibile abbatterli tutti (i boschi sono enormemente più grandi e fitti rispetto a due secoli fa). La via è accettare la presenza di questo animale col suo importante ruolo ecologico, e imparare a conviverci!
* ai cacciatori i capi da abbattere ogni anno vengono assegnati in base al punteggio degli anni precedenti, più si ha un punteggio alto, più si ricevono in assegnazione animali ricercati, come gli ambitissimi cervi maschi adulti.