
Questa mattina mi sono svegliato dopo una notte di tuoni, il cielo si apre appena verso il Monte Bianco, gioisco vedendo che la neve ha imbiancato la mia montagna del cuore fino a circa 3500 metri di quota.
Trasferirmi in una baita d’alta quota per il semestre estivo mi offre un punto di vista unico, ovvero quello di sperimentare la quotidianità in un ambiente liminale, quello in cui il bosco lascia spazio alle praterie alpine, quello che per la maggior parte della mia vita ho raggiunto per esplorare, ma che non ho mai veramente abitato. Anche vivere nelle Alpi Cusiane, in mezzo ai più grandi boschi del Nord Italia, è un’esperienza potente, ma qui, in Alta Valle d’Aosta, si ha una costante sensazione di sublime, non tanto inteso come bellezza, ma secondo la sua etimologia originale di sub-limes, ovvero di essere vicinissimi al limite (grazie Federica per l’etimologia). La terra è dura, il sole è potente, il freddo pungente anche in una mattina d’estate. Appena sopra la baita c’è ancora neve ed esploro da casa portandomi picca e ramponi per superare i nevai.
Venendo a vivere qui, mentre scrivo un libro sul mio modo di esplorare la montagna (ne parlerò…abbiate pazienza!), mi ha fatto ripensare spesso al concetto di speranza e alla gioia di vivere. Dopo anni di attivismo climatico, nel 2021 ho deciso di abbandonare quel tipo di lotta, lasciando spazio dentro di me ad un ambientalismo più sottile e sensibile, più aperto alle possibilità del mondo. Fino a quel momento, in me era sempre più radicato il pensiero che tutto facesse schifo, che le cose andassero sempre peggio, in sostanza che non ci fosse più speranza e che fosse meglio ci estinguessimo il prima possibile. Oggi la mia visione è cambiata radicalmente, riempiendomi gli occhi di meraviglia, senza negare nulla di ciò che va male, anzi, lavorando sulle mie conoscenze per comprendere meglio gli ecosistemi con le loro fragilità ma anche coi loro punti di forza.
Il 2024 è un anno eccezionale per le montagne: sulle Alpi è caduta una quantità di neve che non avevo mai visto in tutta la mia vita, con accumuli ben superiori ai 10 metri. In queste settimane ho fatto scialpinismo non solo ad alta quota, ma anche dove solitamente a Giugno si trovano le prime fioriture. Qualche giorno fa sono stato al Ghiacciao del Rutor, e per la prima volta nella mia vita l’ho trovato completamente coperto di neve fino alla sua lingua a 2600 metri. Gli ultimi due anni sono stati drammatici, non tanto per il caldo ma per le scarse precipitazioni, che hanno messo in crisi le risorse idriche della montagna. Il Monte Bianco, dopo che negli ultimi decenni ha visto crescere la sua calotta glaciale nonostante il riscaldamento in atto, nel 2023 ha perso quota. Oggi lo guardo, in una giornata di piena estate, ed è completamente imbiancato. Penso sorridendo al grande ghiacciaio del Col Major, certo che quest’anno, grazie alle abbondanti nevicate che non vogliono saperne di smettere oltre i 4000 metri, tornerà a crescere.
Nel frattempo, nei dintorni della baita, intorno ai 2000 metri di quota, sto assistendo ad un magnifico susseguirsi di fioriture. I torrenti traboccano acqua grazie alle continue piogge ed al disgelo delle abbondanti nevicate che hanno ricoperto queste quote fino a inizio Giugno. E’ pieno di insetti che non ho mai visto, in un’esplosione di vita che scalda il cuore.
Cambiare punto di vista, scegliere di vivere in un posto che mi assomiglia, mi ha riempito di speranza.
D’altro canto penso che oggi più che mai tantissime persone vivono in condizioni ambientali molto peggiori che in passato. La pianura padana è una delle zone più inquinate d’Europa, oltre che tra le più abitate. L’aumento dei periodi di alta pressione comprime l’aria calda, creando un ristagno torrido ed umido proprio dove in Italia vivono la maggior parte delle persone. Anche solo 200 anni fa le città erano molto diverse e la maggior parte della popolazione viveva fuori dalla pianura, in quelle aree collinari e prealpine. Oggi vivere in grandi città collassate da traffico, inquinamento ed isole di calore urbano ha un effetto deleterio sulle nostre speranze per il futuro. Ho vissuto a Milano per 7 anni della mia vita, e so cosa vuol dire camminare su un asfalto che tende a fondersi sotto i nostri piedi. Per quanto ci illudiamo di poter fare nostro tutto il mondo grazie alla raccolta di informazioni cerebrali, il più potente mezzo di esplorazione sono i nostri sensi, e se viviamo in un luogo dove vengono depressi, questo ha un effetto diretto sulle nostre aspettative, speranze e capacità di visone.
Anche l’eccessiva urbanizzazione della montagna ha la diretta conseguenza di distorcere le nostre percezioni. I recenti alluvioni nelle valli vicine a dove vivo non sono tanto state causate da accumuli eccezionali (circa 200 mm in 24 h, quando nel meno urbanizzato cusio abbiamo avuto 650 mm in 24 h, nel 2020), ma soprattutto dalla scellerata scelta di urbanizzare selvaggiamente le piane alluvionali, costruendo argini dei fiumi di forma rettilinea, che amplificano fenomeni sì intensi ma non inauditi. L’avidità è venuta prima dell’esperienza centenaria di chi ha abitato questi luoghi, ma i fiumi non si fanno comprare. Mi dispiace ovviamente per chi ha perso tanto rimanendo vittima di meccanismi senza scrupoli, ma l’emotività non ci deve rendere cechi, e deve farci chiedere uno sviluppo che sia in reale equilibrio col territorio che si sceglie di abitare. Si parla tanto di resilienza, ma secondo me è limitante basarla solo sulla tecnologia, senza mettere in discussione il nostro attuale modello economico e di vita.
Il futuro rimane comunque uno dei più grandi misteri, non so cosa succederà nei prossimi mesi, nei prossimi anni. Tuttavia essere qui mi permette di vedere ogni giorno ciò che fa meno notizia, tutta quella piccola e grande vita che pulsa ogni giorno riempiendomi di speranza.
Mi sento di proporre questa serie di fotografie, sono una viva testimonianza di questi primi 40 giorni vissuti in quota. Ho immortalato momenti di vita, avventure con persone a cui voglio bene, con la montagna fertile che ha supportato ogni singolo istante con la sua abbondanza. Ho dovuto adattare le mie abitudini a questa realtà, la tanta pioggia mi ha invitato a fare escursioni più brevi e godermi la stufa accesa. L’idealizzazione di questo tipo di vita si è scontrata con la realtà, e dopo un periodo di attriti mi sento di dire che la realtà è più bella di qualsiasi sogno.
Per approfondire le tematiche di cui parlo, ti invito a leggere l’articolo sul mio sito “Scegliere e coltivare la speranza” qui.






